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2 Marzo 2007

Rischio CF per coppia che affronta procreazione assistita e cosa fare per i familiari di un portatore CF

Autore: Fully
Domanda

Effettuato il test per la fibrosi cistica, la mia diagnosi genetica è: “Polimorfismo ISV8 Poli-T eterozigote 35-7T/ 36-9T e positività per una mutazione N1303K/N”. Il mio compagno invece è risultato “negativo a tutte le mutazioni analizzate e presenta un polimorfismo ISV8 Poli-T omozigote 35-7T”. Cosa significa?? Dato che dovremmo fare la FIVET, vorremmo sapere se questo quadro ci preclude la possibilità di affrontarla e se si, quali rischi comporterebbe sia per noi che per il nascituro. Inoltre vorrei sapere se, dato che io sono risultata positiva a una mutazione, è il caso che anche i miei familiari facciano il test (genitori, fratelli) anche se non sono malati o non sanno di esserlo. Grazie.

 

Risposta

Chi viene a sapere, nel corso d’indagini di varia natura, d’essere portatore del gene della FC, fa bene a parlarne con i genitori. E’ certo che almeno uno dei genitori è a sua volta un portatore ed è stato lui a trasmettere il gene. Chi è portatore del gene FC non ha sintomi di malattia, però se il partner è a sua volta un portatore ha un rischio elevato di avere un figlio affetto da FC (su questo tema si può vedere nella sezione “Materiali informativi” di questo sito “Il test per il portatore sano di fibrosi cistica“). E’ allo scopo di conoscere se c’è questo rischio che il test va eseguito. Ma, anche se i genitori non fossero più in età riproduttiva, è comunque indicato che lo facciano, perché in questo modo si può sapere da quale ramo familiare viene il gene FC e, una volta che si è saputo, avvisare gli altri parenti del ramo interessato, per esempio cugini e zii, che potrebbero essere in età da avere figli. Per quanto riguarda i fratelli di chi è portatore del gene FC ed è figlio di una coppia di genitori in cui uno solo dei due è portatore: essi hanno il 50% di probabilità di essere portatori e quindi, se sono in età riproduttiva, è bene che facciano il test insieme al/alla loro partner. In sostanza, l’identificazione di un portatore nell’ambito di una famiglia dovrebbe mettere in moto un processo d’informazione e di diffusione del test che è stato chiamato “a cascata” e che è utile ad identificare altri portatori, perché possano decidere che cosa fare nei confronti del rischio di avere un bambino affetto da FC .

L’altro problema posto è se ci sono preclusioni ad una FIVET (“procreazione assistita” o “fecondazione in provetta”) quando il test genetico ha indicato che nella coppia uno dei due è portatore di una mutazione del gene FC (in questo caso N1303K) e l’altro invece è risultato non portatore di alcuna mutazione. In base al risultato del test questa coppia ha un rischio di avere un figlio affetto da FC che non è elevato come quello della coppia in cui entrambi risultano portatori (25% ad ogni gravidanza), ma non è neanche bassissimo come quello in cui entrambi risultano non portatori. E’ una via di mezzo: si dice infatti che è un rischio “intermedio”. Questo rischio intermedio dipende dal fatto che chi è risultato “non portatore”, potrebbe in realtà essere portatore di qualche mutazione rara che il test non è in grado di identificare.

Esistono vari “livelli ” di test e quanto più il livello è approfondito, tanto minore è la possibilità che al test sfuggano mutazioni rare. Quindi, per quantificare il rischio intermedio bisogna conoscere quale tipo di test è stato eseguito. Se nel partner è stato eseguito un test di primo livello, il rischio della coppia di avere un bambino malato di FC si stima in genere intorno a 1 su 400 circa (espresso in percentuale è un rischio dello 0,2%) (1). Con un approfondimento delle indagini e l’esecuzione di un test di secondo livello il rischio si abbassa (diventa circa 1 su 1000) (1). Però l’esecuzione di un test di secondo livello può mettere in luce varianti genetiche di cui non si conoscono le conseguenze cliniche e quindi complicare, anziché aiutare, le decisioni. Su questo argomento si può vedere per esempio la risposta “Rischio genetico per una fecondazione assistita: a proposito della variante F1025V”, pubblicata il 18/11/05.

Per avere un’idea dell’entità del rischio “intermedio” di avere un figlio malato di FC, si può paragonarlo al rischio che ha la coppia della popolazione generale (che non abbia seguito nessun test): è di 1 su 2500 circa ( equivalente a 0,04%). La scelta di correre o non correre un rischio intermedio spetta naturalmente alla coppia: è bene che abbia un colloquio con un genetista esperto di FC e poi decida.

Non ci sono minori probabilità di successo della FIVET in termini di possibilità d’avvio di una gravidanza: i centri dove la FIVET viene realizzata in genere si adeguano alla decisione della coppia, dopo essersi assicurati che siano stati compresi i termini del problema. E’ bene anche sapere che un’eventuale diagnosi prenatale, eseguita a gravidanza avviata, non assicurerebbe un risultato certo (si può vedere la risposta del 27/12/05 “Ancora sul test preconcezionale dello stato di portatore del gene FC”).

La nostra risposta su questo problema non ha preso in considerazione alcuni dati forniti dal test genetico che riguardavano il polimorfismo PoliI-T. I dati riportati ci risultavano solo in parte comprensibili e li abbiamo così interpretati: presenza di 7T/9T nella donna portatrice di mutazione N1303K e di 7T/7T nell’uomo (in assenza di mutazioni del gene FC). Se i dati sono questi, essi possono essere considerati come non rilevanti per quanto riguarda il rischio di avere un bambino affetto da FC.

1) www.snlg-iss.it “Modelli di analisi genetica per fibrosi cistica”

 

G. Borgo


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