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16 Giugno 2022

Considerazioni sul test del portatore sano di fibrosi cistica in soggetti di minore età

Autore: Chiara
Domanda

Buonasera, vi scrivo per un’informazione circa il test del portatore sano di FC.
Circa sei anni fa, proprio all’inizio della mia prima gravidanza, mio marito, in seguito al test, scopre di essere portatore sano di FC, mentre io sono risultata negativa. Segnalo che nel nostro percorso siamo stati seguiti benissimo dall’ambulatorio di genetica medica dell’ospedale Gaslini. Adesso vorrei sottoporvi questo dubbio: vorrei far eseguire tale test anche ai miei figli di 6 e 4 anni, lo ritenete opportuno a questa età? Vi ringrazio in anticipo. Cordiali saluti.

Risposta

Le linee guida delle più importanti società scientifiche internazionali e nazionali ritengono non consigliabile l’esecuzione del test per il portatore FC in soggetti di minore età (un approfondimento qui, qui e qui).

Si suggerisce piuttosto che sia l’interessato a decidere di fare il test per sapere se è portatore, una volta raggiunta la maggiore età e in grado di capire di che esame si tratta e a che cosa serve. Serve a conoscere il rischio di avere figli con fibrosi cistica, rischio che si ha solo se la coppia è formata da due soggetti entrambi portatori, quindi l’ideale sarebbe farlo contemporaneamente alla persona con cui intende fare una famiglia. Abbiamo pubblicato un articolo su questo argomento, qui e anche nel nostro documento informativo sul test per il portatore di fibrosi cistica (questo) è espressa questa posizione.

Descriviamo le ragioni che supportano questa posizione: un principio ritenuto fondamentale è che, nel minore, qualsiasi tipo di test genetico vada eseguito solo se gli può recare un beneficio. Quindi, per esempio, il test va fatto qualora servisse a diagnosticare una malattia sulla quale si può intervenire con cure precoci, anche se il minore non è in grado di dare un consenso basato sull’informazione (“consenso informato”). Questo non è il caso della fibrosi cistica, dove la diagnosi di portatore non implica l’avvia di nessuna cura. Il consenso informato è però un punto chiave: prima di sottoporre un minore ad un test genetico, bisogna sempre chiedersi se è in grado di capire le informazioni relative al test, in modo che possa “scegliere” se farlo o non farlo. Se questo non è possibile, perché il bambino o il ragazzo non hanno la sufficiente maturità, né i genitori né i sanitari possono decidere per lui, a meno che, come detto sopra, il test non gli procuri un beneficio diretto (e non rimandabile). Venendo al caso della FC, il minore non ne ricaverebbe alcun beneficio immediato e potrebbe, soprattutto se bambino, avere difficoltà a capire le implicazioni del test, che riguardano comunque solo il suo futuro (e non il presente): informare il/la partner, invitarlo/a a fare il test del portatore, valutare l’uso della diagnosi prenatale per fibrosi cistica qualora fossero entrambi portatori, e altre scelte riguardanti la vita riproduttiva.

Alcuni studi hanno però mostrato che un numero non piccolo di genitori è invece in favore dell’esecuzione del test per il portatore anche nei minori, sostenendo che in questo modo il bambino si adatterebbe meglio all’idea di essere portatore, evitando il risentimento e l’ansia del saperlo più avanti, magari dopo la scelta della partner. Il problema è delicato e i sanitari dovrebbero sempre prendere in considerazione una richiesta insistente dei genitori per il test genetico nei figli, per capirne le reali motivazioni (qui un approfondimento). Questo soprattutto nel caso (diverso dalla domanda) in cui in famiglia ci sia un altro figlio malato di fibrosi cistica, per cui il figlio candidato al test può risultare semplice portatore o nemmeno portatore.
Di fondo potrebbero esserci dei timori sullo stato di salute dei figli. A questo proposito è opportuno ricordare che lo stato di portatore di fibrosi cistica, per quello che oggi si sa, non ha nessuna implicazione sullo stato di salute. Ma ci sono ricerche che hanno suggerito come la condizione del bambino conosciuto come portatore possa provocare nei genitori ansia, timore di stigmatizzazione, iperprotezione, confusione con lo stato di malattia. Può succedere anche negli adulti diagnosticati portatori, soprattutto in assenza di un’adeguata offerta di consulenza genetica, e quindi ancor più nei bambini.

Dott.ssa Graziella Borgo, clinico FC e genetista


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