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4 Giugno 2009

Dubbi sull’opportunità di un ciclo antibiotico in vena: il corretto rapporto con il centro di cura

Autore: A.B.
Domanda

Buonasera: sono molto in ansia poichè il mio fidanzato all’ultimo controllo ha riportato un calo di FEV1 da 67 a 59 % e una diminuzione di saturimetria (da 97 a 96 %), con perdita di un kg di peso. Il medico asserisce che ciò sia causato dal cambiamento climatico, essendo molto caldo, e dall’allergia da cui purtroppo il paziente è affetto. Al momento egli assume zitromax per tre giorni a settimana, tobi per aerosol due volte a giorno, enzimi ai pasti, regolare fisioterapia e sport. Il centro che lo segue non ritiene opportuno fargli fare un ciclo di antibiotico endovena e questo mi lascia perplessa. Ovviamente ha Pseudomonas anche se da dieci anni non ha febbri. Ha presentato un singolo ed isolato episodio di emottisi tre anni fa. Venti giorni fa nell’espettorato abbiamo trovato un piccolo filo di sangue secco. Vi chiedo di potermi fornire maggiori delucidazioni in merito: leggendo le esperienze di altre persone con FC ho notato che quasi tutti fanno un ciclo di endovena. Non vorrei che il caso fosse trattato con leggerezza. Sono molto preoccupata.

Risposta

Questa domanda ripropone il problema di un corretto rapporto tra persona malata e centro di cura. Quanto importante sia il lieve calo di alcuni parametri clinici di cui viene riferito, solo i medici del centro di cura possono valutare, poiché essi conoscono bene la storia del paziente, il suo modo di reagire alle terapie ed anche ad eventi particolari come quello climatico di cui si parla. Non vi sono automatismi terapeutici: in un soggetto che pratica una terapia cronica anti-Pseudomonas, come nel caso in questione, un ciclo antibiotico in vena viene fatto quando vi siano esacerbazioni infettive significative, ma su questa significatività solo chi conosce il malato può esprimere una corretta valutazione e prendere una adeguata decisione.

Ci si chiede perché in questi casi i dubbi espressi da terza persona, peraltro molto interessata alla salute della persona malata e per questo molto preoccupata, non vengano ampiamente discussi con il medico con cui il malato ha consuetudine e rapporto di cura: sono dubbi legittimi e solo avendo la franchezza e il coraggio di esporli e ri-esporli, se del caso, si può raggiungere consapevolezza della propria salute e contribuire comunque a scelte e decisioni confacenti. Il medico non può non tenere conto delle obiezioni e delle richieste di un malato, indipendentemente dalla connotazione di ansia con cui possono essere avanzate. Chi è vicino alla persona malata, crediamo, dovrebbe innanzi tutto aiutarlo a questo tipo di iniziativa con il curante.

G.M.


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