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28 Agosto 2012

Un risultato negativo allo screening neonatale FC non esclude la malattia se vi sono sintomi con essa compatibili

Autore: Laura
Domanda

Buongiorno sono Laura, mamma di una bimba di quasi tre mesi. Racconto brevemente la mia storia: la mia bimba nasce a maggio, non cresce tanto e ha sempre avuto una strana tosse. A luglio di notte improvvisamente tosse insistente e febbre alta, la portiamo al pronto soccorso dove, a seguito di una radiografia, viene ricoverata per broncopolmonite. Qualche pediatra sospetta fibrosi cistica, il nome non mi è nuovo, non conosco la malattia e mi ricordo del suo libretto di nascita. Lo prendo e vedo che è una delle malattie ricercate con gli screening: lei ne ha fatti due entrambi negativi, lo consegno al reparto e mi dicono che a quel punto la FC è esclusa. Cominciano a fare esami di ogni tipo, io cerco i sintomi della malattia e dentro di me è tutto chiaro: tutto quello che ho segnalato ai pediatri come anormale (e per loro non lo era) ha un senso. Decidono di fare una tac. Io chiedo di fare l’esame del DNA ma mi dicono che si fa per gradi, alcuni esami escludono la FC e altri la confermano. Decidiamo, io e mio marito, di far fare noi l’esame del DNA e scopriamo, nonostante nessun caso in famiglia e famiglie numerose composte da almeno cinque generazioni, di essere portatori sani del gene FC. I medici decidono di fare il test del sudore visto che alla tac (fatta pure col contrasto) non si vede nulla e continuano a dirci che con due screening negativi (valori sotto i 40) la FC è improbabile. La bambina non suda e ci mandano in un altro ospedale per una broncoscopia. Vado via. Decidiamo, nella nostra assoluta ignoranza in campo medico, di non fare questo esame ma farle l’esame del DNA. Ci rivolgiamo in un altro centro di FC: il test del sudore risulta nell’area grigia, ma viste le condizioni della bambina decidono di ricoverarci e iniziare la cura. Tutti gli esami hanno confermato la FC, DNA compreso. Ma ci è rimasto un dubbio: gli screening. Abbiamo capito che può succedere, che esistono i falsi negativi, ma abbiamo capito anche che a tutte le persone (medici compresi) incontrate finora non è mai successo di incontrare un malato con due test di screening negativi, e nelle statistiche cercate non abbiamo trovato nulla. Qualcuno può aiutarci a capire? La nostra storia può aiutare altre persone? Grazie.

Risposta

Il problema generale posto da questa domanda ci pare sia quello di sapere se un bambino che ha avuto alla nascita un risultato negativo allo screening per fibrosi cistica possa in realtà essere affetto dalla malattia. In altri termini, è il problema dei “falsi negativi” allo screening neonatale. Questo tema è stato affrontato altre volte : si vedano le domande del 16.09.09 (I falsi negativi allo screening neonatale CF, anche se rari, esistono), del 24.01.05 (Screening neonatale CF: falsi negativi) e del 04/10/2006 (Uno screening neonatale negativo per fibrosi cistica esclude definitivamente la malattia?). Nelle risposte date abbiamo sempre sottolineata la necessità-opportunità di non escludere il sospetto di fibrosi cistica, ma approfondirlo con gli accertamenti opportuni SEMPRE quando vi siano sintomi compatibili, anche se vi è nozione che il bambino o il ragazzo siano risultati negativi allo screening alla nascita.

Questo è il primo insegnamento che la storia di questa mamma e di questa bimba può riproporre a medici, pediatri , familiari. In effetti non capiamo perché nel reparto presso cui la bimba è stata ricoverata per la prima volta la negatività allo screening sia stata presa come elemento per “escludere” la malattia. Questo non è corretto: ci viene il dubbio che i sanitari avessero informazioni che noi non abbiamo (perché il test è stato ripetuto se già la prima volta era negativo con valore inferiore a 40? Ciò che abitualmente non viene fatto). Avremmo bisogno di sapere qual è la procedura di screening adottata dal centro: ricordiamo che non è omogenea in tutte le regioni e che alcune procedure sono più accurate di altre ed espongono meno al rischio della falsa negatività. Però i falsi negativi esistono, il saperlo deve far parte della cultura sanitaria attuale: la falsa negatività può dipendere da qualche limite di sensibilità dei test (come del resto per tutti i test clinici), ma anche dal fatto che vi sono forme di FC che si manifestano scarsamente (almeno alla nascita), per cui non riescono a dare segni sufficienti di sé nemmeno all’esame della tripsina immunoreattiva, che rappresenta il test di prima battuta dello screening neonatale CF (vedere anche domanda/risposta del 25.07.06 Screening neonatale CF: che cosa dice il test della tripsina immunoreattiva). Queste forme possono anche avere un test del sudore con risultati nell’area grigia (borderline: cioè tra 30 e 50 mEq/L di cloro, se si tratta di bambino piccolo).

Non sappiamo quanti possano essere i falsi negativi allo screening FC, né in Italia né altrove, perché a volte sono riconosciuti come tali anche avanti con l’età: se si considera il numero dei diagnosticati malati, una stima ragionevole orienta a pensare che possa esserci un falso negativo ogni 20 malati accertati; se si considerano invece tutti i nati sottoposti allo screening, in un lavoro francese i falsi negativi sono risultati , nell’arco di dieci anni, meno di 1 su 50.000 scrinati. (Vedere su questo sito in “Progressi di Ricerca” Screening neonatale CF: falsi negativi, 24/01/05)

Altre due osservazioni che la storia raccontata offre possono essere di utilità generale: la prima è che, come abbiamo detto molte altre volte, la negatività della storia familiare, cioè il fatto che famiglie numerose e sanissime non contino al loro interno precedenti casi di FC, non ha nessun peso per allontanare il sospetto della malattia: la grandissima parte dei nuovi casi nasce da famiglie che non ne hanno mai presentato uno prima. E’ la legge dell’assoluta casualità dell’incrocio di portatori sani a determinare che le cose vadano così.

L’altra osservazione è che di fronte alla difficoltà di far sudare una bambina e avere il risultato di un test del sudore, bisogna rivolgersi a centri specializzati (magari qui è stato anche fatto, ma lo ribadiamo come consiglio generale), che hanno maggior esperienza: in questi l'”impossibilità” a raccogliere una quantità adeguata di sudore ci sembra possa essere meno frequente. Il risultato del test del sudore è ancora oggi fondamentale, anche quando si colloca “nell’area grigia” e può orientare alla diagnosi e far risparmiare esami più invasivi (come la broncoscopia).

Non sappiamo se quanto detto può aiutare i genitori che hanno scritto “a capire”; in ogni caso li ringraziamo per aver voluto mettere a disposizione la loro esperienza perché sia di aiuto ad altri.

G. Borgo


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